Ricorda di dimenticare

Il mondo digitale si sta confrontando negli ultimi mesi con un problema che sta assumendo risvolti sempre più complessi e globali. Si tratta del diritto all’oblio che contrappone da un lato i big del mondo digitale ed in particolare Google, il più i portante motore di ricerca utilizzato nel mondo occidentale e Governi e Autorità Garanti della Privacy. La questione è presto detta: la sopravvivenza in Rete di link e contenuti resi accessibili in modo rapido dai motori di ricerca a notizie e contenuti che possono ledere in modo perpetuo privacy, onorabilità e reputazione di una persona o di un marchio. Si tratti di pura diffamazione o di richiami a notizie che non contengono più fatti attuali il problema appare essere identico. La situazione è ben riassunta del Garante sulla Privacy Italiana Antonello Soro che ha dichiarato che “I giganti di Internet tendono ad occupare in modo sempre più esclusivo ogni spazio di intermediazione tra produttori e consumatori, assumendo un potere che si traduce anche in un enorme potere politico. Un potere sottratto a qualunque regola democratica”. Se infatti un procedimento penale istituito nei confronti di un cittadino, dopo l’avvenuta piena assoluzione nelle aule del tribunale, permane in Rete come notizia a sensazione nel momento dell’incriminazione, essa verrà restituita quale risultato dell’interrogazione del motore di ricerca, indipendentemente dalla nuova situazione di totale estraneità nei fatti contestati. L’esempio può essere esteso anche al settore commerciale, basti pensare a tutte le notizie su sofisticazioni o scandali collegati alla mozzarella di bufala, o a marchi, come ad esempio è capitato a Nike ed Adidas in relazione alle accuse di sfruttamento di lavoro minorile.
La Corte di Giustizia UE ha stabilito nello scorso maggio quindi che la responsabilità dei motori di ricerca e nello specifico soprattutto di Google – pur riconoscendolo come mero intermediario delle informazioni prodotte da terzi – sia fondamentale e che chi volesse ottenere il diritto all’oblio possa rivolgersi direttamente per richiedere la rimozione. Google nelle parole del suo presidente Eric Schmidt, ha beffardamente replicato che la sentenza contiene poca chiarezza sui dettagli, ma ha messo al lavoro la propria macchina organizzativa per accogliere la richiesta, istituendo anche una Comitato internazionale composto da illustri professori competenti in materia, tra cui l’italiano Luciano Floridi.
Mentre gli esperti, la corte di giustizia e le Autorità Garanti della Privacy sono impegnatissime a cercare una soluzione, Google ha recentemente rilasciato un aggiornamento dei dati relativi alle richieste di rimozione: quasi 145 mila a livello europeo che hanno spinto il motore di ricerca ad esaminare un totale di quasi 500 mila URL, che hanno portato alla rimozione del 42% per cento degli URL segnalati. Le richieste provenienti dall’Italia sono state poco più di 11 mila e solo il 24% degli URL segnalati sono stati rimossi.
Gli investimenti sempre più importanti che i brand e le insegne della distribuzione stanno mettendo in campo per sostenere nei canali digitali reputazione e immagine dei prodotti non può, quindi, ignorare all’interno della propria azione di marketing l’attenta verifica, e le conseguenti richieste di rimozione, di link che possono danneggiarli ingiustamente. La dimensione globale e l’immediatezza dei messaggi in Rete rendono la tutela della reputazione materia complicata anche da legislazioni differenti per paese e dalla volontà dei motori di ricerca di aiutare a proteggere asset importantissimi per le aziende moderne.

Diego Martone©

Pubblicato sul numero 2 di InStore:

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